Roberto Bartolini17 Giugno 202411min7051

La zootecnia maltratta gli animali? Gli esempi che smentiscono Slow Food

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Barbara Nappini, presidente del Comitato Collettivo Slow Food, in un recente articolo pubblicato su Green&Blu (supplemento del quotidiano Repubblica) si è scagliata violentemente contro il nostro modello di allevamento zootecnico. Riportiamo di seguito alcuni estratti del suo pensiero.

«L’approccio industriale ha trasformato l’allevamento degli animali in “zootecnia” e questo ha cambiato tutto. Zootecnia, infatti, è la scienza dello sfruttamento degli animali al pari delle macchine: l’allevatore diventa “imprenditore agricolo”, viene incrementata la meccanizzazione, la stabulazione permanente è una prassi, mentre l’omogeneità e la selezione genetica (il contrario di “biodiversità”) sono spinte all’estremo e si adotta il criterio principe dell’economia di scala».

 

«Di fatto la zootecnia ha fortemente sbilanciato il rapporto tra allevatori e animali, e più in generale, una cultura diffusamente predatoria ha portato tutti noi ad avere uno sguardo alieno verso la natura. Ha modificato la nostra relazione col vivente».

 

«L’affollamento, la prigionia, una vita brevissima, insomma condizioni di estrema sofferenza e insalubrità in cui gli animali da allevamento intensivo sono costretti a vivere, hanno gravi ripercussioni di vario tipo. L’aumento delle epidemie è infatti associato alla diminuzione della biodiversità causata da deforestazione (anche per coltivare mangimi su larga scala), estrazione mineraria, uno sviluppo urbano illimitato e un’agricoltura intensiva e monocolturale».

 

«La pericolosa antibiotico-resistenza, che continua a diffondersi, è ritenuta globalmente la prima causa di morte nei decenni a venire, e il 15% circa delle emissioni climalteranti sul totale delle attività umane proviene dall’allevamento industriale».

 

«Allora, consapevoli dell’insalubre legame che intreccia l’agroindustria, e in particolare l’allevamento intensivo, con la crisi climatica e ambientale, e consapevoli – parallelamente – che i nostri regimi alimentari sbilanciati in termini di proteine animali, di grassi e zuccheri, sono collegati con malattie cardiovascolari, con obesità, diabete e influenze, è urgente un’onesta riflessione su questo modello alimentare e di allevamento. Un modello che equipara esseri senzienti a macchine e ne contempla la sofferenza sistematica. Un modello alimentare che fa ammalare gli esseri umani, oltre che l’ambiente, invece che nutrirne corpo e spirito».

 

Gli esempi che smentiscono Slow Food

Di seguito riportiamo alcuni esempi di stalle italiane che smentiscono le affermazioni di Barbara Nappini, dimostrando il livello di benessere che viene assicurato agli animali.

Una moderna stalla da latte dove gli spazi non mancano. Gli animali hanno a disposizione una corsia di deambulazione perfettamente pulita dalle feci, per opera dei raschiatori, e a sinistra le cuccette per il riposo, con paglia fresca che viene periodicamente rinnovata.

 

Ventilatori e spazzole costituiscono elementi importanti per assicurare il benessere agli animali.

 

Numerosi punti di acqua per abbeverarsi sono presenti in varie parti della stalla.

 

Questi due animali danno la sensazione di stare molto bene nella loro cuccetta con paglia pulita, che contribuisce alla sanità della mammella.

 

La replica dell’esperto

Barbara Nappini evidentemente non conosce la nostra zootecnia e si permette di offendere e gettare discredito su un settore, quello dell’allevamento zootecnico, che fa dell’Italia un’eccellenza nel mondo per i prodotti DOP e IGP. Nonostante questo, non ci risultano repliche da parte di associazioni e organizzazioni professionali. Solo il professor Giuseppe Pulina, presidente emerito dell’Associazione per la Scienza e le Produzioni Animali, ha replicato da par suo alla farneticante Barbara Nappini, con una serie di argomentazioni di cui riportiamo alcuni estratti.

«Ho letto (e riletto incredulo dopo la prima scorsa) il contributo di Barbara Nappini intitolato “Basta animali come macchine da produzione”, pubblicato su Green&Blue. Incredulo perché, secondo le argomentazioni della dottoressa Nappini, ho sbagliato mestiere essendomi dedicato per tutta la vita, da professore di zootecnia, a studiare e trasferire a studenti e allevatori le conoscenze della scienza dell’allevamento e delle produzioni animali. Per la dottoressa Nappini non avrei sbagliato da solo, ma sarei in compagnia di circa un milione di studiosi e tecnologi che nel mondo svolgono questa attività migliorando le condizioni di vita di miliardi di animali, dei loro allevatori e fornendo all’umanità il 38% delle proteine e il 55% degli aminoacidi essenziali per la vita».

 

«Probabilmente il modello che ha in mente la dottoressa Nappini è quello documentato da Ermanno Olmi nel film “L’albero degli zoccoli”, ambientato in una padana fredda, povera e affamata, dove gli animali erano sottoposti alle stesse, se non peggiori, privazioni degli uomini e ne condividevano la misera sorte».

 

«Consiglio alla dottoressa Nappini di vedere (o rivedere nel caso) le scene delle vacche mantenute alla catena (bei vecchi tempi, vero?) nelle stalle sottostanti le abitazioni delle cascine (oggi in vendita a prezzi esorbitanti), anche per stemperare con il loro calore i rigori invernali, e di soffermarsi sulla disperazione della vedova Runc alla diagnosi infausta del veterinario che le consiglia di macellare la loro unica vacca. E sì, gran bei tempi, i tempi andati, se non fosse che per la maggioranza degli abitanti di quella Italia povera e contadina la vita era costellata di cavolacci amari».

 

L’immagine ritrae una stalla dei tempi che furono, con l’animale legato. È il modello di zootecnia del film “Gli alberi degli zoccoli” che ha in mente Barbara Nappini?

 

I tanti meriti della moderna zootecnia

Conclude Pulina: «Poi arrivò la zootecnia, pratica agricola e veterinaria, che dai primi del ‘900 iniziò a sollevare le sorti sia degli animali (meglio alimentati, meglio curati e perciò meglio allevati) che dei loro allevatori. Memorabili le prime cattedre ambulanti, e poi le mostre per la vendita dei soggetti miglioratori per il latte e per la carne. Sarebbe lungo spiegare i benefici che le scienze animali, al pari di tutte le altre scienze agrarie, hanno portato all’umanità, prima di tutto con l’aumento delle disponibilità di alimenti senza la quale le scienze mediche sarebbero state disarmate e le altre totalmente inutili. Il benessere umano è derivato anche dalla zootecnia, la scienza che per prima si è occupata anche dell’analogo aspetto per gli animali: lo sa la dottoressa Nappini che le vacche delle aree alpine che hanno trascorso l’inverno in stalla (al chiuso, ben protette dal gelo e con l’abitudine alle compagne: sarà un caso di allevamento intensivo?), una volta portate in alpeggio mostrano un elevato grado di stress, misurato dall’aumento degli ormoni dell’asse ipotalamo-surrenale e dal brusco calo del latte? Noi zootecnici, studiosi e tecnologi delle scienze e delle produzioni animali, siamo ogni giorno impegnati, con i piedi ben piantati per terra e gli occhi rivolti al futuro, per garantire cibo sano, giusto, sostenibile ed etico a quanta più umanità possibile. Speriamo che altrettanto possa dichiarare Slow Food, sulla cui bontà di intenzioni non nutriamo nessun dubbio».

Una moderna sala di mungitura, ormai presente in tutte le nostre stalle da latte, fa capire il grado di pulizia e di igiene che garantiscono le strutture dei nostri allevatori.

 

Concludiamo con un commento dell’allevatore Gianfranco Tomasoni, che da Portomaggiore (Ferrara) ci dice: «Chi non vive con gli animali, ma al quinto piano di un condominio di una città dove gli uomini stanno peggio degli animali, non può fare altro che cercare una scusa per attaccare chi vive ancora una vita sana e piena di valori».

Gianfranco Tomasoni, allevatore di Portomaggiore (Ferrara)

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


Un commento

  • Luca Prada

    27 Giugno 2024 at 9:35 am

    C’è veramente una ignoranza spropositata dietro le parole della nappini.

    Rispondi

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